lunedì 29 giugno 2009
L'alba
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domenica 28 giugno 2009
la marmellata

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mercoledì 24 giugno 2009
lunedì 22 giugno 2009
q24: cosa non capisci e vorresti capire?
Tra me e la matematica non c'è mai stata storia; sarà perchè ho fatto il classico (ma avevo compagni di classe che erano autentiche schegge, a dimostrazione del fatto che forse la scuola c'entra poco), sarà che mi sono sempre trovata meglio con le parole, fatto stà che (come dice Ligabue ;-))) io e la matematica ci siamo tolti il saluto da piccoli... Sono una vera frana, credetemi, al punto che al lavoro se ci sono conti da fare (e ce ne sono, ce ne sono...) mi guardano smarriti e preoccupati, si immaginano il disastro che sta per abbattersi su di loro e dicono "mica li avrai fatti tu????"
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Q52 scrap
FERMI TUTTI...
…e silenzio, per favore! Questo è un post “liturgico”; qui si celebra la gola nelle sue più inebrianti e straordinarie manifestazioni, che in questo caso è una torta dal profumo celestiale, di cioccolato fondente e arancio. E quindi, siamo pronti a questa esperienza dei sensi che ha pochi paragoni,e che dovete affrettarvi a compiere prima che dagli scaffali dei supermercati spariscano arance e cioccolata e che vi ricompaiono solo in autunno? Si?
Vi servono:
3 arance piccole, o due grosse, vedete voi;
100 gr di cioccolato fondente, o se proprio siete intenzionati a non farvi mancare nulla anche 150 gr;
100 gr di burro
300 gr di zucchero
400 gr di farina
1 bicchiere di latte
1 bustina di zucchero vanigliato
Mettete il burro e la cioccolata tagliata a quadrotti in una ciotola e mettete la ciotola sopra un pentolino dove farete bollire acqua calda oppure utilizzate qualsiasi altro procedimento conosciuto per il bagnomaria (non me la prendo, eh..). In una ciotola diversa (?!) sbattete le due uova con un’intensità direttamente proporzionale alla vostra golosità, aggiungete lo zucchero, mescolate, il burro e il cioccolato liquefatti, mescolate, il latte, mescolate. A questo punto vi tocca fare l’operazione francamente meno simpatica di tutta la procedura, ossia grattare la buccia delle arance (dopo averle ben lavate) e poi spremerle (considerato che a questo punto saranno mezze maciullate l’operazione di spremitura è antipatica ma semplicissima). Aggiungete la farina e, da ultimo, il lievito. Mettete il composto (che risulterà morbido e un po’ granuloso per via della buccia di arancia) in una tortiera imburrata o foderata da carta da forno e poi mettete in forno a 180°. Per quanto? Io vado un po’ a occhio, quindi non chiedetemi di essere precisa! Dopo minimo 20 minuti (non prima perché sennò si sgonfia tutto!!!!) punzecchiate la torta con uno stuzzicadenti e giudicate voi la cottura; se va bene, spengete il forno, togliete la torta e fatela raffreddare. E poi inebriatevi del profumo che nel frattempo si sarà sparso ovunque e dite “grazie” (oh, a proposito, dite “grazie” nell’apposito post, su, che così ho una scusa buona per fare un bel giochino con un bel sorteggio di una cosina fatta con le mie mani, coraggio!!), e poi non resta che mangiarsela (e questo lo sapete fare da voi, senza che vi dita nulla…)
Vi servono:
3 arance piccole, o due grosse, vedete voi;
100 gr di cioccolato fondente, o se proprio siete intenzionati a non farvi mancare nulla anche 150 gr;
100 gr di burro
300 gr di zucchero
400 gr di farina
1 bicchiere di latte
1 bustina di zucchero vanigliato
Mettete il burro e la cioccolata tagliata a quadrotti in una ciotola e mettete la ciotola sopra un pentolino dove farete bollire acqua calda oppure utilizzate qualsiasi altro procedimento conosciuto per il bagnomaria (non me la prendo, eh..). In una ciotola diversa (?!) sbattete le due uova con un’intensità direttamente proporzionale alla vostra golosità, aggiungete lo zucchero, mescolate, il burro e il cioccolato liquefatti, mescolate, il latte, mescolate. A questo punto vi tocca fare l’operazione francamente meno simpatica di tutta la procedura, ossia grattare la buccia delle arance (dopo averle ben lavate) e poi spremerle (considerato che a questo punto saranno mezze maciullate l’operazione di spremitura è antipatica ma semplicissima). Aggiungete la farina e, da ultimo, il lievito. Mettete il composto (che risulterà morbido e un po’ granuloso per via della buccia di arancia) in una tortiera imburrata o foderata da carta da forno e poi mettete in forno a 180°. Per quanto? Io vado un po’ a occhio, quindi non chiedetemi di essere precisa! Dopo minimo 20 minuti (non prima perché sennò si sgonfia tutto!!!!) punzecchiate la torta con uno stuzzicadenti e giudicate voi la cottura; se va bene, spengete il forno, togliete la torta e fatela raffreddare. E poi inebriatevi del profumo che nel frattempo si sarà sparso ovunque e dite “grazie” (oh, a proposito, dite “grazie” nell’apposito post, su, che così ho una scusa buona per fare un bel giochino con un bel sorteggio di una cosina fatta con le mie mani, coraggio!!), e poi non resta che mangiarsela (e questo lo sapete fare da voi, senza che vi dita nulla…)
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venerdì 19 giugno 2009
GRAZIE: una riflessione, un invito e (forse) un giochino
Stamattina ho fatto una strada più lunga per andare al lavoro.
Sono passata davanti alla cancellata di ferro che mancava ancora un quarto alle sette, e ho gettato uno sguardo oltre le sbarre, verso le tombe, e le mie donnine, quelle che incontro sempre quando passo di qui, erano già tutte lì, qualcuna china sul marmo, altre insieme a parlare fitto (ma di cosa si parla alle 6.45 del mattino, in un cimitero?), altre con i fiori incartati tra le braccia; una l’ho anche salutata, una donnina con gli occhi azzurri sempre chiusi a fessura e coi capelli grigi e ricci. Lei sì che c’è sempre, tutti i giorni che Dio manda in terra, piova o tiri vento, imperterrita, sempre lì, di buon mattino.
Il mio babbo è qui, da ventidue anni. No, mi correggo. C’e la sua tomba, c’è una scultura di bronzo che raffigura le sue montagne, c’è una grande pianta di erica e la sua foto di giovane uomo di 47 anni. Ma lui non c’è. Lo so, ne sono certa, in modo molto confuso perchè non so se credo al paradiso, ma ne ho la certezza; lui è da qualche parte, nel Comelico che amava, ed ha uno zaino sulle spalle, e sbuffa, sorride e smadonna su per la salita. E poi si ferma, guarda la vetta, fà una battuta e si accende una sigaretta. Quindi lui qui non c’è. Invece ci sono io, da ventidue anni, che vengo qui, non tutti i giorni, e forse neanche tutte le settimane, più spesso d’estate e meno spesso di inverno (perchè la mattina d’inverno all’ora in cui parto per il lavoro è buio pesto…); vengo, mi fermo davanti alla sua tomba, guardo oltre, verso le cappelle, e quasi mi sembra di vederlo, nei vialetti, con la sua faccia magra e tirata, con i jeans di tutti i giorni, che cammina, a volte verso di me, a volte dove pare a lui. Stamattina però non mi sono fermata, non era così presto da permettermi una visita; ho salutato la donnina, ho abbassato il finestrino, ho lanciato un ciao a babbo e ho proseguito lungo la strada più lunga, quella che di solito non faccio. Una bella strada che si srotola giù dai fianchi della collina dove vivo, e che si attorciglia su sé stessa, contornata da olivi e da alberi da frutto. Il sole scintillava tra i rami, e tutto era silenzioso; sono passata davanti alla vecchia villa che un tempo era del Vescovo, e che oggi è di proprietà di una ragazza che conoscevo, un anno più di me, stessi giri, università nel solito posto, una persona che ha avuto successo (si dice così?), soldi e fortuna e che si è comprata la villa dove un tempo si facevano i campi scuola dei preti e le feste di fine anno scolastico. Non ho incontrato un’ anima, né una macchina, né qualcuno a piedi, neanche una di quelle Api Piaggio, rumorose come zanzare e lente come bradipi che, sulle strade strette ed in salita che ci sono da queste parti formano sempre lunghe, lunghissime file. Ho svoltato l’ennesima curva, e la strada si è infilata all’improvviso in un batuffolo di foschia, una nebbiolina leggera come un velo di sposa, che si è spalmata sull’asfalto come burro su una fetta di pane, morbida. Che bello, ho pensato, una strada imburrata, in un mattino di sole, per giunta di venerdi, ultimo giorno della settimana lavorativa, dopo aver salutato babbo, e con la prospettiva felice di rivedere la Puzzola Sovrana - che stasera torna a casa dopo aver trascorso una settimana a casa delle nonna - e di mangiare insieme la pizza a cena, quella con le acciughe che adoro; e poi, dopo cena, mi metto seduta sul terrazzino, con i piedi sul tavolo (una trasgressione, sù..), e non accendo la luce fino a quando non fa proprio buio buio, e i pipistrelli cominciano a svolazzare un po’ troppo vicini; e poi oggi ho messo le ballerine, quelle nuove comprate di occasione a 18 euro nel negozio delle bimbe sotto casa, viola per la precisione, per fare pendant con la maglia (sono una donna di gusti raffinati e con un innato senso del bello, che credete?). E quindi, mentre la macchina pattinava tranquilla sulla strada illuminata dal sole radente delle sette di mattina, ho pensato: “Grazie”. Grazie di che? E Grazie a chi? A chi non lo so, ho idee confuse su questo, da tanto tempo ormai; non so a chi rivolgere il mio grazie, se a Dio che a volte sento molto molto lontano, o a me stessa perché ce la metto tutta, o al destino che mi ha derubato e mi ha fatto grandissimi regali, al Caso o alle persone che ho incontrato e che mi hanno aiutato ad essere quella che sono, nel bene e nel male. Ma “grazie perché”, no, non ho dubbi. Grazie perché tutti i giorni alzo la saracinesca e si inizia la giornata; grazie perché tutte le sere torno a casa, apro la porta e mi viene incontro la Puzzola che mi tramortisce con la raffica delle sue parole; grazie perché il frigo è pieno e le bollette sono pagate, per questo mese. Grazie perché il ricordo di babbo è ancora intatto nonostante tutti questi anni; grazie per le strade imburrate di foschia, per il silenzio della mattina presto, per le ballerine viola che porto al posto delle scarpe con il tacco che in ufficio dopo qualche ora mi fanno male ai piedi; e grazie perché la Puzzola Sovrana stasera torna a casa, grazie per la pizza alle acciughe, per i piedi sul tavolo, per il buio che scende, per la lavanda fiorita sul terrazzo.
Ditelo anche voi il vostro grazie! A Dio, al cielo, al Destino, alle stelle, all’Universo, alla Natura, a chi volete voi, ognuno secondo le proprie idee e le proprie convinzioni; diciamolo, questo grazie, anche per le cose più semplici, quelle che si danno per scontate, quelle che ci sfilano sotto gli occhi destinate a passare e basta, senza lasciare tracce apparenti. Diciamolo, questo grazie, che magari ci farà stare bene e vedere con occhi diversi le cose che ci circondano. Io, da parte mia, prometto di annottarmi scrupolosamente tutti i vostri grazie e di metterli qui, in un cantuccio del blog, in attesa di poter scrivere una bella, lunga, lista da lanciare un giorno nella blogsfera, come l’urlo che si fa quando segna la squadra del cuore, o quando si apre un regalo che non si aspettava. Scrivete i vostri grazie, facciamola questa lista, e chissà che non ci scappi un giochino….
Sono passata davanti alla cancellata di ferro che mancava ancora un quarto alle sette, e ho gettato uno sguardo oltre le sbarre, verso le tombe, e le mie donnine, quelle che incontro sempre quando passo di qui, erano già tutte lì, qualcuna china sul marmo, altre insieme a parlare fitto (ma di cosa si parla alle 6.45 del mattino, in un cimitero?), altre con i fiori incartati tra le braccia; una l’ho anche salutata, una donnina con gli occhi azzurri sempre chiusi a fessura e coi capelli grigi e ricci. Lei sì che c’è sempre, tutti i giorni che Dio manda in terra, piova o tiri vento, imperterrita, sempre lì, di buon mattino.
Il mio babbo è qui, da ventidue anni. No, mi correggo. C’e la sua tomba, c’è una scultura di bronzo che raffigura le sue montagne, c’è una grande pianta di erica e la sua foto di giovane uomo di 47 anni. Ma lui non c’è. Lo so, ne sono certa, in modo molto confuso perchè non so se credo al paradiso, ma ne ho la certezza; lui è da qualche parte, nel Comelico che amava, ed ha uno zaino sulle spalle, e sbuffa, sorride e smadonna su per la salita. E poi si ferma, guarda la vetta, fà una battuta e si accende una sigaretta. Quindi lui qui non c’è. Invece ci sono io, da ventidue anni, che vengo qui, non tutti i giorni, e forse neanche tutte le settimane, più spesso d’estate e meno spesso di inverno (perchè la mattina d’inverno all’ora in cui parto per il lavoro è buio pesto…); vengo, mi fermo davanti alla sua tomba, guardo oltre, verso le cappelle, e quasi mi sembra di vederlo, nei vialetti, con la sua faccia magra e tirata, con i jeans di tutti i giorni, che cammina, a volte verso di me, a volte dove pare a lui. Stamattina però non mi sono fermata, non era così presto da permettermi una visita; ho salutato la donnina, ho abbassato il finestrino, ho lanciato un ciao a babbo e ho proseguito lungo la strada più lunga, quella che di solito non faccio. Una bella strada che si srotola giù dai fianchi della collina dove vivo, e che si attorciglia su sé stessa, contornata da olivi e da alberi da frutto. Il sole scintillava tra i rami, e tutto era silenzioso; sono passata davanti alla vecchia villa che un tempo era del Vescovo, e che oggi è di proprietà di una ragazza che conoscevo, un anno più di me, stessi giri, università nel solito posto, una persona che ha avuto successo (si dice così?), soldi e fortuna e che si è comprata la villa dove un tempo si facevano i campi scuola dei preti e le feste di fine anno scolastico. Non ho incontrato un’ anima, né una macchina, né qualcuno a piedi, neanche una di quelle Api Piaggio, rumorose come zanzare e lente come bradipi che, sulle strade strette ed in salita che ci sono da queste parti formano sempre lunghe, lunghissime file. Ho svoltato l’ennesima curva, e la strada si è infilata all’improvviso in un batuffolo di foschia, una nebbiolina leggera come un velo di sposa, che si è spalmata sull’asfalto come burro su una fetta di pane, morbida. Che bello, ho pensato, una strada imburrata, in un mattino di sole, per giunta di venerdi, ultimo giorno della settimana lavorativa, dopo aver salutato babbo, e con la prospettiva felice di rivedere la Puzzola Sovrana - che stasera torna a casa dopo aver trascorso una settimana a casa delle nonna - e di mangiare insieme la pizza a cena, quella con le acciughe che adoro; e poi, dopo cena, mi metto seduta sul terrazzino, con i piedi sul tavolo (una trasgressione, sù..), e non accendo la luce fino a quando non fa proprio buio buio, e i pipistrelli cominciano a svolazzare un po’ troppo vicini; e poi oggi ho messo le ballerine, quelle nuove comprate di occasione a 18 euro nel negozio delle bimbe sotto casa, viola per la precisione, per fare pendant con la maglia (sono una donna di gusti raffinati e con un innato senso del bello, che credete?). E quindi, mentre la macchina pattinava tranquilla sulla strada illuminata dal sole radente delle sette di mattina, ho pensato: “Grazie”. Grazie di che? E Grazie a chi? A chi non lo so, ho idee confuse su questo, da tanto tempo ormai; non so a chi rivolgere il mio grazie, se a Dio che a volte sento molto molto lontano, o a me stessa perché ce la metto tutta, o al destino che mi ha derubato e mi ha fatto grandissimi regali, al Caso o alle persone che ho incontrato e che mi hanno aiutato ad essere quella che sono, nel bene e nel male. Ma “grazie perché”, no, non ho dubbi. Grazie perché tutti i giorni alzo la saracinesca e si inizia la giornata; grazie perché tutte le sere torno a casa, apro la porta e mi viene incontro la Puzzola che mi tramortisce con la raffica delle sue parole; grazie perché il frigo è pieno e le bollette sono pagate, per questo mese. Grazie perché il ricordo di babbo è ancora intatto nonostante tutti questi anni; grazie per le strade imburrate di foschia, per il silenzio della mattina presto, per le ballerine viola che porto al posto delle scarpe con il tacco che in ufficio dopo qualche ora mi fanno male ai piedi; e grazie perché la Puzzola Sovrana stasera torna a casa, grazie per la pizza alle acciughe, per i piedi sul tavolo, per il buio che scende, per la lavanda fiorita sul terrazzo.
Ditelo anche voi il vostro grazie! A Dio, al cielo, al Destino, alle stelle, all’Universo, alla Natura, a chi volete voi, ognuno secondo le proprie idee e le proprie convinzioni; diciamolo, questo grazie, anche per le cose più semplici, quelle che si danno per scontate, quelle che ci sfilano sotto gli occhi destinate a passare e basta, senza lasciare tracce apparenti. Diciamolo, questo grazie, che magari ci farà stare bene e vedere con occhi diversi le cose che ci circondano. Io, da parte mia, prometto di annottarmi scrupolosamente tutti i vostri grazie e di metterli qui, in un cantuccio del blog, in attesa di poter scrivere una bella, lunga, lista da lanciare un giorno nella blogsfera, come l’urlo che si fa quando segna la squadra del cuore, o quando si apre un regalo che non si aspettava. Scrivete i vostri grazie, facciamola questa lista, e chissà che non ci scappi un giochino….
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giovedì 18 giugno 2009
sfida Scrapbookiando
La sfida di giugno prevede di usare "un oggetto insolito" e la spiegazione è: tutto quello che di solito non si vede in una pagina di scrap. Ah si?

Ho usato una molletta per il bucato, dipinta di acrilico bianco. Quello che ho scritto lo penso davvero, eh... avete mai provato a lavare a mano il bucato di una settimana? no? allora è un'esperienza che vi manca.... (la foto fa davvero schifo...)
E siccome mi divertivo tanto, e quando uno si diverte non un granchè smetterla, ho fatto anche questo:
.. che è il massimo dello "scrap destrutturato", con uso di piatti e posate di plastica ;-))). Come al solito la foto è davvero orrenda, ma il titolo dice "la dieta giusta per mio figlio": la Puzzola Sovrana, fosse per lui, si nutrirebbe solo a pastasciutta, gelati e cioccolatini... mai visto uno che a dieci anni non ha mai (e se dico mai, è proprio mai) mangiato una foglia di lattuga o assaggiato un cetriolo; la spiegazione: "è troppo verde!".
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mercoledì 17 giugno 2009
...dal momento che non se ne può più....
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n° 17 - qual'è il mio superpotere
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Q52 scrap
n° 23 - come posso essere gentile con me stessa

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sabato 13 giugno 2009
fine della scuola!
ecco il particolare del tappo di metallo! Lo aggiungo perchè quest'anno il tappo è stato l'oscuro oggetto del desiderio per tutti i ragazzi della 4° elementare della scuola del ragazzo: venivano raccolti (dalle bottiglie di acqua della mensa scolastica...), collezionati, scambiati, conservati, dati in pegno e in garanzia, versati per la costituzione di società segrete e di agenzie investigative (!!!) nonchè reclamati (e quasi mai restituiti...) in caso di scioglimento della società o di zuffe tra ragazzi... boh, beata gioventù....
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mercoledì 10 giugno 2009
MOSTRI
Sono tra di noi. Hanno usurpato la nostra vita, si sono presi il nostro tempo, si sono aggrappati a noi come cozze allo scoglio; succhiano il nostro amore come coca cola con la cannuccia, ci tengono svegli la notte, ci fanno battere il cuore di apprensione. Sono piccoli, rumorosi e a volte anche puzzolenti. Qualche volta hanno la febbre, la varicella, il raffreddore, il vomito e l'orticaria. Sono molesti, importuni e impertinenti. Ridono, ruttano, gridano; spargono per casa scarpe, libri, giocattoli, briciole e figurine. Hanno colonizzato i nostri spazi, depredato le nostre stanze, prosciugato i nostri conti. Sono tra di noi. Ci hanno conquistato. Perchè sanno essere anche sorprendenti, e profondi, e simpatici; chiassosi e allegri, dolci e meravigliosi. Sono tra di noi. Io ne ho uno solo (purtroppo) ma di quelli tremedenti, da farti battere la testa in un quattrostagioni. Sono i MOSTRI. Sono tra di noi. Grazie a Dio....
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martedì 9 giugno 2009
n° 22 - qual'è la mia direzione

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lunedì 8 giugno 2009
n° 14 - l'ultimo buon libro che ho letto

BISCOTTI DI FARINA DI CECI
Ingredienti :
3/4 di tazza di burro, fatto fondere a temperatura ambiente
1/4 di tazza di olio di mais
2 tazze e 1/3 di zucchero a velo
5 cucchiaini di cardamomo macinato
4 tazze di farina di ceci passata al setaccio
1 tazza di pistacchi sgusciati
In un recipiente mescolare il burro, l'olio, lo zucchero a velo ed il cardamomo. Aggiungete poco alla volta la farina, rimestando fino ad ottenere un impasto consistente. Ponetelo su una superficie pulita e continuata a impastare finchè non diventa liscio. Stendetelo in una sfoglia di 6 millimetri di spessore. Con uno stampino a forma di trifoglio (o simile) ricavate una trentina di biscotti. Sistemateli su una placca rivestita con carta da forno, e lasciate riposare 30 minuti. Scaldate il forno a 150°. Fate cuocere i biscotti per 10 minuti o finchè non saranno leggermente dorati. Toglieteli dal forno e lasciateli raffreddare. Gustateli con una tazza di thè al bergamotto leggermente zuccherato.
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mercoledì 3 giugno 2009
martedì 2 giugno 2009
n° 21 - se avessi un giorno libero senza alcuna restrizione, cosa decideresti di fare?

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